Sovranità alimentare e diritto di accesso al cibo
di Luca Giacomelli , Alessandro Cocchi , Agnese Pacinico **
Le ultime crisi globali, da quella finanziaria del 2008 a quella pandemica del 2020-2021, ripropongono con forza all’attenzione dell’opinione pubblica e dei decisori di tutto il mondo il tema dell’autosufficienza e della “sovranità alimentare”, intesa come autonomia e controllo nazionale delle risorse alimentari. Il tema ha profonde implicazioni economiche, politiche e giuridiche.
1. «Dobbiamo (…) riconoscere che l’epidemia ha messo in evidenza la rilevanza strategica della sovranità sanitaria, intesa come autonomia nazionale e controllo sui presidi sanitari, i farmaci, le attrezzature, la formazione del personale, ma anche della sovranità alimentare (autonomia e controllo nazionale delle risorse alimentari) (…)». Così scrivevamo un anno fa, riflettendo sulle prospettive della cooperazione internazionale allo sviluppo «nel mondo del dopo-virus»[1]. Allora era tutt’altro che chiaro se e quando saremmo usciti dal tunnel della pandemia né quanto questa avrebbe ulteriormente allargato il divario tra le economie del Nord e del Sud del Mondo. Oggi, alla luce delle macroscopiche asimmetrie con cui i diversi paesi del pianeta riescono ad approvvigionarsi di vaccini e a somministrarli ai propri cittadini, si può affermare con sicurezza che il tema della sovranità sanitaria – ovvero l’abilitazione all’esercizio di un controllo politico ed economico effettivo sulle risorse che garantiscono l’accesso di una collettività alle cure di base – si pone oggi con forza ancor maggiore di un anno fa. L’ipotesi di una temporanea sospensione dei brevetti sui vaccini e di una liberalizzazione della loro produzione per far fronte alla domanda mondiale, è riconducibile proprio alla questione della sovranità sanitaria.
Meno discussa, ma non meno rilevante a livello globale, è il tema della sovranità alimentare, un argomento multidimensionale che nelle prossime pagine si affronta dal punto di vista economico, politico e giuridico. Nella sua declinazione economica, la questione della sovranità alimentare richiama l’incidenza dell’approvvigionamento alimentare sulla bilancia commerciale e il peso strategico che l’autonomia o la dipendenza alimentare dall’estero può avere sul posizionamento economico e politico sul mercato globale di un paese.
Molti paesi del mondo, anche tra i «paesi ricchi», non sono autosufficienti dal punto di vista alimentare, ma compensano l’importazione di prodotti agroalimentari con l’esportazione di materie prime, manufatti e servizi. In molti casi è una scelta obbligata, in quanto la sproporzione tra popolazione residente e risorse agricole proprie è incolmabile, come è il caso ad esempio del Giappone o della Gran Bretagna[2]. Per i colossi del mondo l’autosufficienza alimentare è invece un obiettivo strategico di fondamentale importanza, da perseguire ad ogni costo, al pari della difesa militare dei propri confini.
La Cina, con una popolazione che si aggira intorno al miliardo e quattrocento milioni di abitanti, è sempre stata storicamente dipendente dalle importazioni di cereali dall’estero, soprattutto dagli Stati Uniti (principalmente soia e mais). Pressata dalla guerra dei dazi promossa da Trump, la Cina ha tuttavia reagito dichiarando nel suo Rapporto 2019 sullo Sviluppo del Settore Agricolo della Cina di non temere più di restare a corto di scorte senza gli approvvigionamenti alimentari dall’estero. Secondo questo rapporto, la Cina è pronta a raggiungere «l’autosufficienza alimentare di base in materia di cereali e la sicurezza alimentare assoluta»[3]. L’obiettivo è raggiungibile anche grazie a quella politica di sistematica acquisizione di suoli agricoli nel mondo[4], soprattutto in Africa e in America Latina, conosciuta come land grabbing: accaparramento di terra. Una politica che viene da lontano, perseguita negli ultimi decenni con lungimiranza spietata e applicata dal governo cinese con ogni mezzo, dalla corruzione politica all’evacuazione forzata delle popolazioni native[5].
Nell’Outlook Conference 2021-2030 del Ministero dell’Agricoltura cinese del 23 Aprile 2021, il vice ministro Yu Kangzhen ha dichiarato che nel 2021 la produzione interna cinese assicurerà «absolute security in staples food», assoluta sicurezza in alimenti di base[6].
Anche la Federazione Russa – sotto la spinta delle sanzioni europee che nel 2014 fecero seguito all’occupazione della Crimea da parte delle truppe di Mosca – è oggi completamente autosufficiente in quanto a prodotti alimentari di base e sta attivamente sviluppando il potenziale di esportazione. Negli ultimi sei anni la Russia ha ridotto di un terzo le sue importazioni alimentari, passando da $ 43,3 miliardi nel 2013 a $ 30 miliardi nel 2019. Il costante sviluppo del settore agroindustriale e l’autosufficienza hanno consentito alla Russia di passare da un modello produttivo orientato alla sostituzione delle importazioni a un modello orientato all’esportazione. Le esportazioni agricole russe sono aumentate del 150% e hanno totalizzato $ 25,6 miliardi alla fine del 2019 rispetto ai $ 16,8 miliardi nel 2013[7].
Gli Stati Uniti d’America sono da sempre autosufficienti dal punto di vista alimentare ed esportatori netti di prodotti agricoli, soprattutto cereali. Il Self Sufficiency Ratio[8] degli Stati Uniti d’America supera il 120% e consente loro di utilizzare l’embargo agricolo come deterrente commerciale nelle relazioni internazionali.
L’Italia è divenuta, solo negli ultimissimi anni, un esportatore netto di prodotti agroalimentari, con un saldo attivo della bilancia commerciale del comparto di oltre 3 miliardi di Euro nell’anno della pandemia (2020). L’export agroalimentare italiano «vale» oltre 45 miliardi di Euro e rappresenta circa il 10% dell’intero export nazionale[9]. Una crescita straordinaria se si considera che nel 2007 il SSR italiano era intorno al 63% (FAO).
Il problema dell’autosufficienza alimentare è invece drammatico nei paesi economicamente più fragili, nei paesi più aggrediti dal cambiamento climatico (ad esempio quelli dell’area saheliana) e nei paesi privi di risorse, tanto tecnologiche che naturali: in quelle realtà economiche, insomma, dove il potenziale di interscambio con l’estero è minato da debolezze strutturali dell’apparato produttivo, da un’iniqua distribuzione della terra, da una crescita demografica che eccede la capacità di crescita economica interna o da un rapido deterioramento delle risorse naturali (acqua, suolo). In questi paesi, soprattutto in Africa e in America Latina, l’autonomia alimentare non si misura quindi solo in termini di bilancia commerciale, ma anche e soprattutto in termini di capacità di autodeterminazione tecnologica e normativa, di rispetto di diritti fondamentali – come l’accesso alla terra e all’acqua – e di partecipazione dei produttori alla formazione del valore aggiunto nelle filiere agroalimentari. E’ in queste realtà che nasce e si elabora, fin dalla metà degli anni ’90, l’idea stessa di sovranità alimentare.
Siamo consapevoli che il termine “sovranità” rischia di richiamare alla mente il suo derivato “…ismo”, entrato recentemente nel lessico politico italiano come edulcorata alternativa al termine “nazionalismo”. Qui cercheremo di restituire a questo termine tutta la dignità politica e giuridica che merita, soprattutto in rapporto al tema dell’alimentazione che, come vedremo, trascina con sé un insieme di corollari collegati direttamente ai diritti fondamentali dell’uomo.
2. Il concetto di sovranità alimentare, inteso come autonomia e controllo nazionale delle risorse alimentari, ottiene risonanza internazionale durante il World Food Summit indetto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) tenutosi a Roma nel 1996. In quell’occasione il Movimento Contadino Internazionale, La Via Campesina, definì la sovranità alimentare come «il diritto dei popoli, delle comunità e dei paesi di definire le proprie politiche agricole del lavoro, della pesca, del cibo e della terra che siano appropriate sul piano ecologico, sociale, economico e culturale alle loro realtà uniche».
La cornice all’interno della quale si sviluppa il tema della sovranità alimentare è costituita dallo spazio rurale e dalle sue dinamiche, in cui sono inclusi gli abitanti coinvolti in attività di produzione agricola – piccoli e medi proprietari terrieri e contadini –, pastorizia, pesca, o nelle molteplici attività connesse con l’economia forestale. Nonostante le aree rurali e le popolazioni che vi abitano siano tutt’altro che socialmente ed economicamente irrilevanti a livello globale, esse vengono spesso considerate marginali nella duplice declinazione di effettiva marginalità geografica – si parla, nella maggior parte dei casi, dei paesi del Sud del mondo – ed in quella di marginalità politica nell’agenda delle policies nazionali ed internazionali. Questi aspetti fanno sì che, nelle suddette aree, l’accesso al reddito, alle informazioni, ai capitali e a qualsiasi servizio di supporto da parte dello Stato sia altamente limitato, così come la partecipazione ad attività sociali e la possibilità di incidere nelle decisioni collettive.
Con l’avvio della riflessione sul tema della sovranità alimentare promosso da La Via Campesina, si delinea un nuovo approccio al problema dell’insicurezza alimentare, che pone coloro che producono, distribuiscono e consumano alimenti nel cuore dei sistemi e delle politiche alimentari e al di sopra delle esigenze dei mercati e delle imprese. L’approccio che propone La Via Campesina è, infatti, rivoluzionario rispetto al paradigma neoliberista – che tuttora domina il settore agroalimentare e che sottopone il cibo alle logiche di mercato dei beni commerciabili – in quanto dà priorità all’economia e ai mercati locali e nazionali, privilegia l’agricoltura familiare, la pesca e l’allevamento tradizionali, basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
La definizione della sovranità alimentare data da La Via Campesina si articola, più nello specifico, intorno a sette pilastri che testimoniano la complessità e la multidimensionalità dell’argomento:
1. La tutela universale del diritto al cibo che, mediante una ridefinizione delle norme giuridiche e delle strutture di potere alla base del modello dominante, elimini le contraddizioni sistemiche dell’attuale sistema agroalimentare attraverso l’adozione a livello internazionale di un paradigma che riconosca la centralità e l’unicità del cibo per la vita umana.
2. La riforma agraria che risolva i problemi di iniqua distribuzione della terra e di incertezza dei diritti di proprietà e che contrasti i fenomeni di land grabbing, assicurando un’acquisizione della terra libera da fattori religiosi, di genere, di classe sociale o di razza.
3. La protezione delle risorse naturali a partire da un modello orientato all’agricoltura su piccola scala, non industriale, che faccia riferimento soprattutto alla cosiddetta agro-ecologia.
4. La riorganizzazione del commercio alimentare che preveda, in primo luogo, una produzione finalizzata all’autosufficienza e, in secondo luogo, un accorciamento della filiera produttiva-distributiva utile a garantire migliore accesso al mercato ai piccoli produttori.
5. La fine della globalizzazione della fame tramite la regolamentazione e la tassazione del capitale speculativo e l’applicazione rigorosa di codici etico-giuridici di condotta per le corporazioni transnazionali.
6. La pace sociale indispensabile all’affermazione della sovranità alimentare in considerazione del fatto che i conflitti minacciano la capacità di resilienza dei popoli spesso costretti a ricorrere a metodi distruttivi di sfruttamento delle risorse naturali minando ulteriormente la loro stessa sicurezza alimentare.
7. Il controllo democratico inteso come diritto a partecipare direttamente, in maniera equa e inclusiva, ai processi di formulazione delle politiche agricole a tutti i livelli e più in generale delle decisioni collettive.
È importante poi precisare la differenza tra sicurezza e sovranità alimentare. La sicurezza alimentare (food security) – da non confondersi con food safety che riguarda invece il diverso tema dell’igiene e della salubrità degli alimenti – viene definita dalla FAO come «condizione in cui tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti, che garantiscano il soddisfacimento delle loro esigenze e preferenze per condurre una vita attiva e sana». Il modello teorico della sicurezza alimentare si articola intorno a quattro dimensioni:
· disponibilità in termini di quantità e qualità di prodotti alimentari
· accessibilità fisica ed economica ad alimenti appropriati per una dieta nutriente
· utilizzo efficace degli alimenti, e, infine,
· stabilità nel tempo che garantisca un approvvigionamento sicuro e adeguato di beni alimentari per tutti ed in ogni momento.
In questo quadro si inserisce, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, il dibattito politico intorno alla sovranità alimentare, che concorre a determinare condizioni di sicurezza alimentare tramite un modello di sviluppo che garantisca il rispetto delle quattro dimensioni della sicurezza alimentare e secondo il quale il controllo dal basso dei mezzi di produzione e delle risorse alimentari deve essere integrato con nuove rivendicazioni, anche di natura giuridica. Nell’ambito delle strategie di promozione della sovranità alimentare, inoltre, le questioni della sicurezza alimentare e del diritto al cibo si riconducono ad un processo di ri-territorializzazione, intesa come ri-presa di coscienza e di possesso delle matrici ecologiche e territoriali della civiltà umana come tale. Questa strategia implica il riconoscimento sostanziale dei diritti locali, indigeni e comunitari, al controllo delle risorse per la produzione di cibo e alla definizione delle proprie scelte alimentari.
Come anticipato in premessa, la recente crisi socio-sanitaria derivante dallo scoppio della pandemia da COVID-19 ha senz’altro accentuato e aggravato tendenze negative che il tracollo economico e finanziario del 2008 aveva già fatto emergere, con conseguenze disastrose anche sull’accesso a beni vitali come il cibo, l’acqua o i farmaci essenziali. Già allora erano stati evidenziati i limiti e le iniquità dell’assetto “del” mercato e dei rapporti di forza tra attori privati e istituzioni pubbliche che operano “nel” mercato, dimostrando il fallimento delle politiche economiche e dei meccanismi di regolazione e di controllo dei sistemi economici dominanti.
Eppure la lezione non è stata appresa, come dimostra impietosamente la questione dell’approvvigionamento dei vaccini dove chi corre nelle somministrazioni sono i Paesi occidentali e quelli più ricchi, mentre tutti gli altri aspettano. Con riguardo al tema dell’accesso al cibo, le cose non sono migliori. Negli ultimi anni, il food divide – ossia la sempre maggiore e diseguale condizione soggettiva di disporre e di accedere concretamente ad una alimentazione adeguata – che da sempre insiste tra le economie del Nord e del Sud del mondo si è ampliato sino ad assumere carattere diffuso su scala globale. All’orizzonte si profila una profonda e preoccupante trasformazione, sintetizzabile nel passaggio dalla dialettica food safety e food security, che ha informato finora il diritto dell’alimentazione, all’emergente situazione di food insecurity[10]. Anche per queste ragioni, la riflessione sulla sovranità alimentare acquista un significato ancora più pregante, soprattutto per il giurista.
3. A prescindere dall’iniziale ispirazione prevalentemente ideologico-politica della sovranità alimentare, tale concetto può essere oggi definito, a tutti gli effetti, quale istituto tipico del diritto dell’alimentazione, con numerosi esempi di attuazione a livello giuridico-costituzionale, alcuni dei quali particolarmente significativi in un’ottica comparativa. Indubbiamente nel concetto di sovranità alimentare rimane vivida la spinta di carattere identitario che si esprime proprio attraverso il riferimento al termine “sovranità” il quale, nell’articolazione dei rapporti tra Stato, individui e risorse, suggerisce interessanti risvolti sotto il profilo sia interno che esterno. Sul piano interno, la sovranità alimentare richiama un’esigenza di autogoverno nella gestione delle fonti e delle risorse alimentari in un’ottica partecipativa di tutti i soggetti che materialmente sono legati alle fonti e alle risorse di produzione e di distribuzione di alimenti da stretti rapporti e vincoli di diversa matrice. Sul piano esterno, invece, il richiamo alla sovranità si ricollega al concetto di indipendenza ed autodeterminazione rispetto alle influenze esterne. In quest’ottica, sono molto preoccupanti fenomeni come quello, già richiamato in precedenza, del land grabbing, termine utilizzato per riferirsi alle acquisizioni di terre effettuate violando i diritti umani, ignorando il principio del consenso “libero, preventivo e informato” delle comunità che utilizzano quella terra, in particolare dei popoli indigeni, ignorando l’impatto sociale, economico e ambientale derivante da tali accordi, evitando la conclusione di contratti trasparenti, contenenti impegni chiari e vincolanti sugli impieghi e sulla divisione dei benefit e bypassando la partecipazione democratica, il controllo indipendente e la partecipazione informata delle popolazioni che utilizzano la terra.
La sfida culturale, prima ancora che politica e giuridica, è allora il passaggio da una concezione del cibo come merce e come moneta da scambiare sul mercato a una concezione del cibo come bene fondamentale e, dunque, oggetto di un diritto fondamentale. La riflessione sul diritto al cibo, oggetto del più elementare e vitale dei diritti fondamentali, cioè del diritto alla vita e alla sussistenza, rappresenta dunque un essenziale banco di prova[11]. Sotto questo punto di vista appare particolarmente interessante il passaggio dall’approccio verticistico della lotta contro la fame nel mondo a un approccio orizzontale, in cui ciascun Paese ha assunto un ruolo più attivo. Per usare le parole di Stefano Rodotà «siamo di fronte a una vera e propria costituzionalizzazione diffusa di tale diritto, che corrisponde alla più generale costituzionalizzazione della persona, punto di riferimento dei più recenti sviluppi del diritto»[12]. Tale osservazione sembra essere suffragata dagli esiti di un’indagine promossa dalla FAO nel 2011, dalla quale emerge che sono oltre cento le costituzioni nel mondo che riconoscono, se pur attraverso meccanismi di tutela differenti, il diritto al cibo[13]. In questo scenario assumono significato le novità registrate nelle carte fondamentali di quei Paesi che prima di tutti hanno codificato norme sul cibo e sull’alimentazione. Se un riconoscimento esplicito si trova in alcuni testi costituzionali, richiamando o il «diritto al cibo» ovvero il «diritto all’alimentazione» (Bolivia, Brasile, Ecuador, Haiti, Nepal, Sudafrica, Ucraina, Uganda) o la «libertà dalla fame» (Guyana, Kenya, Nicaragua) o il «diritto alla sovranità alimentare» (Nepal, Venezuela, Ecuador e Bolivia), in altri casi è la «sicurezza alimentare» a trovare riconoscimento sotto forma di specifiche obbligazioni poste a capo dei pubblici poteri (Etiopia, India, Malawi, Nigeria, Pakistan, Suriname); disposizioni specifiche sono dettate per assicurare il diritto al cibo a determinate categorie di “soggetti deboli” come i minori (Brasile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Guatemala, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Sud Africa), gli anziani (Paraguay). Quando mancano previsioni esplicite, l’alimentazione è oggetto di «tutela in quanto strettamente collegata ad altri diritti», come, in genere, il diritto a uno standard di vita dignitoso, sufficiente, appropriato (Bielorussia, Congo, Malawi, Moldavia).
Il tema è di rilievo ove in tale riferimento la tematica della sovranità alimentare viene affrontata a tutto tondo, con riguardo alla necessità di promuovere investimenti nel settore agroalimentare accompagnati da riforme strutturali in ambito agricolo e non solo. Si tratta dunque di una visione sintetica – ovvero olistica[14] – della sicurezza alimentare e delle sue diverse componenti, riassunte da un lato, dal diritto al cibo, quanto alle pretese degli individui relative all’accessibilità e all’adeguatezza (anche dal punto di vista ambientale) di cibo e, dall’altro, dai principi propri della sovranità alimentare quanto all’organizzazione delle politiche agrarie e di produzione di alimenti ed alla necessità di promuovere una maggior inclusione dei soggetti che presentano collegamenti più stretti col territorio.
Questa visione integrata, sensibile al tema dello sviluppo sostenibile, è condivisa anche dalle costituzioni che si ispirano alla dottrina del buen vivir come Bolivia e Ecuador. La costituzione di quest’ultimo, in particolare, contiene uno specifico riferimento alla sovranità alimentare all’art. 281, comma 1, nel quale si afferma che la sovranità alimentare è un obiettivo strategico e rappresenta un’obbligazione per lo Stato affinché garantisca che le persone, le comunità, i popoli e le nazioni raggiungano una permanente autosufficienza nell’accesso ad un cibo sano e culturalmente appropriato[15].
È evidente che di fronte a questi sviluppi normativi, alcuni dei quali anche piuttosto avanguardisti, si pone tuttavia il problema di garantirne l’effettività e la giustiziabilità nel caso di violazioni o omissioni governative. Ad una prima analisi si può sostenere, alla luce della complessa natura dei diritti che discendono dai concetti di sicurezza e di sovranità alimentare, nonché del conflitto potenziale tra gli interessi in gioco, che sono proprio i giudici (nazionali) a svolgere un ruolo fondamentale in materia di garanzia di tali diritti. In altri termini, le corti «costituiscono la via più efficace alla attuazione dei diritti umani in quanto ess(i) sono compost(i) da giudici indipendenti rispetto agli esecutivi; operano secondo un procedimento percepito come legittimo dai cittadini e dalle vittime di violazioni dei diritti umani; per la loro familiarità con il contesto nel quale operano, sono in grado di offrire quelle soluzioni giurisprudenziali che risultano politicamente più accettabili e giuridicamente più efficaci rispetto all’intervento di corti di rango internazionale»[16]. Infatti, le operazioni di bilanciamento tra i diversi interessi coinvolti e l’applicazione di canoni ermeneutici quali la ragionevolezza, la proporzionalità e l’adeguatezza – che in campo alimentare si costruisce in considerazione di diversi ambiti, quello strettamente economico, ma anche quello sociale, territoriale e culturale –, rimanda in capo ai giudici una grande responsabilità, tale da porli, talvolta, anche in una posizione di potenziale conflitto con gli altri poteri dello Stato nel momento in cui sono chiamati a dare concretezza a diritti fondamentali sì ma, ancora in gran parte, “condizionati” dalle prevalenti condizioni sociali, economiche, culturali, climatiche ed ecologiche. Osservando allora la casistica giurisprudenziale, soprattutto di rango costituzionale – che non è possibile approfondire in questa sede –, si possono trarre alcuni presupposti che condizionano la giustiziabilità del diritto al cibo adeguato: è innanzitutto indispensabile che esso sia consacrato nel sistema giuridico considerato (a prescindere dalla tecnica di tutela costituzionale adottata); che sia invocabile dinanzi a un organo giudiziario o quasi-giudiziario; che sia riconosciuto come giustiziabile da tale organismo; e, soprattutto, che vi sia un meccanismo di accesso alla giustizia da parte dei più svantaggiati, che consenta loro di invocare il diritto violato a nome delle vittime[17]. Senza tutto ciò, la proclamazione del diritto rischia di rimanere, appunto, solo una proclamazione.
[1] Alessandro Cocchi, Luca Fé d’Ostiani, Quale cooperazione internazionale nel mondo del dopo-virus?, in Questione Giustizia, 03/07/2020, https://www.questionegiustizia.it/articolo/quale-cooperazione-internazionale-nel-mondo-del-dopo-virus
[2] Nel 2018 il tasso di autosufficienza alimentare del Giappone si assestava intorno al 37%, misurato in termini di rapporto tra calorie prodotte e calorie necessarie al soddisfacimento del fabbisogno interno (fonte: Agenzia Nova). Lo stesso tasso si aggira in Gran Bretagna intorno al 50% (Fonte: Agrinotizie).
[3] https://www.agrifoodtoday.it/sviluppo/cina-autosufficienza-alimentare.html
[4] In proprietà, in concessione o per sfruttamento indiretto attraverso l’instaurazione di regimi di monopsonio, ovvero imponendosi come principale se non esclusivo acquirente, come in Argentina per quanto riguarda la soia.
[5] OXFAM, Chi ci prende la terra, ci prende la vita: come fermare la corsa globale alla terra, Briefing note, 2012.
[6] http://english.moa.gov.cn/news_522/202104/t20210428_300641.html
[7] Giovedì 6 agosto 2020, Ministry of Agriculture of the Russian Federation, Russia. https://mcx.gov.ru
[8] «This more pragmatic understanding of food self-sufficiency is captured by what the FAO terms the self-sufficiency ratio (SSR), which is defined as the percentage of food consumed that is produced domestically (FAO, 2012). The SSR is measured using the following equation with respect to food production and trade: Production x 100 / (Production + Imports – Exports). More precise measurements of the SSR also include changes in domestic stock levels (Puma et al., 2015). The SSR is typically measured in calories or in volume of food produced, although it can also be expressed as a ratio of monetary value» (http://www.fao.org/3/i5222e/i5222e.pdf).
[9] http://www.ismeamercati.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11345
[10] Cfr., L. Costato, Principi e requisiti generali della legislazione alimentare, in L. Costato, A. Germanò, E. Rook Basile (a cura di), Trattato di diritto agrario. Il diritto agroalimentare, Torino, 2011, 19 ss.
[11] A prescindere dalla categoria di diritti in cui il diritto al cibo è di volta in volta ascritto, i suoi elementi descrittivi sono tali da consentire di ricondurlo, anche per il livello di tutela costituzionale comparata, alla categoria dei c.d. “basic rights”, ovvero quei diritti «il cui godimento rende possibile il godimento di tutti gli altri diritti». Così, per esempio, H. Shue, Basic Rights. Subsistence, Affluence and U.S. Foreign Policy, II ed., Princeton (NY), Princeton University Press, 1996, p. 20.
[12] S. Rodotà, Il diritto al cibo, i Corsivi (e-book), 2014, p. 4.
[13] Cfr., FAO, L. Knuth, M. Vidar (a cura di), Constitutional and Legal Protection of the Right to Food around the World, Roma, 2011, disponibile su; www.fao.org (ultimo accesso: 18 giugno 2021).
[14] G. Zagrebelsky, Due concetti costituzionali: sovranità alimentare e olismo, in AA.VV., Carlo Petrini: la coscienza del gusto, Pollenzo, 2014, p. 12 e ss.
[15] Sullo sviluppo delle politiche pubbliche in materia alimentare nel sistema costituzionale ecuadoriano si rinvia, per i debiti appofondimenti a R. Nehering, Politics and Policies of food sovereignty in Ecuador: New Directions or Broken Promises?, in UNDP-IPC Working Paper no. 106, Brasilia, 2013.
[16] A. Rinella, H. Okoronko, Sovranità alimentare e diritto al cibo, in Dir. pub. comp. eur., 2015, p. 107.
[17] Cfr., C. Golay, The right to food and the access to justice, Roma, FAO, 2009 e M.J. McDermott, Constituzionalizing an enforceable right to food: a new tool for combating hunger, in Boston College International and Comparative Law Review, Volume 35, Issue 2, 2012.
Alessandro Cocchi, agro-economista, Dottore di ricerca in Economia e Territorio, professore a contratto presso la Scuola di Economia dell’Università di Firenze, consulente UE, AICS
Luca Giacomelli, dottore di ricerca in diritto costituzionale e comparato presso l’Università di Milano-Bicocca
Agnese Pacinico, dottoressa in Sviluppo Economico, Cooperazione Internazionale Socio-Sanitaria e Gestione dei Conflitti