Destinazione Pastore, il progetto di CIURMA

Progetto mutualistico per un acquisto collettivo dell’azienda di Luca Pala

Di CIURMA – Comunità Integrata Urbana e Rurale di Mutuo Appoggio

Da Rivista Malamente n. 32, mar. 2024 (QUI IL PDF – QUI IL PDF formato opuscolo)

Qui e seguenti: Fotografie di Cristina Panicali presso l’azienda di Luca Pala a Tavoleto (PU), 2024

La Ciurma così riunita e le altre intervenute sperano di coinvolgere con entusiasmo ancora nuove amicizie in questa impresa mutualistica a energia circolare ed effetto immediato.

Innanzitutto si stabilisce indispensabile per il nostro territorio l’esistenza del Cacio così come finora lo abbiamo conosciuto, libero da condizionamenti e ansie di controllo. questo è auspicabile per la baldoria e il sostentamento alimentare delle nostre reti.

Così come al Cacio il casaro e il Pastore alla bestia, con la nostra associazione acquisteremo l’azienda per far sì che non finisca nelle mani sbagliate.

Questa azienda è così preziosa che per un po’ di tempo sarà di tutte noi e sarà restituita a chi di dovere quando non sarà più in pericolo.

Lo stesso avverrà per l’abitazione.

La casa è di chi l’abita, la terra è di chi la lavora.

Oggi inauguriamo una campagna per raccogliere fondi finalizzati a raggiungere l’importo richiesto dalla procedura di liquidazione, così da poterci aggiudicare la cessione all’asta.

Possono contribuire tutte le persone fisiche o giuridiche, associate o future socie. Le modalità sono varie e si adattano alle esigenze differenti.

Dovremo mettere insieme una cifra molto importante quindi cerchiamo sicuramente contributi generosi, ma sappiamo anche che buona parte dell’operazione sarà fatta da piccole somme, quello che ognuna di noi si sentirà di versare.

È possibile effettuare donazioni, è possibile prestare una quota stabilendo i termini della restituzione, è possibile fare prestiti infruttiferi con un ordine temporale che si aggira intorno ai dieci anni.

Il mutualismo funziona perché non toglie niente a nessuno ma redistribuisce a chi ne ha più bisogno, prendendo da ognuna a seconda delle possibilità.

Stiamo raccogliendo 220mila euro.

Per partecipare contatta la segreteria al 3208581985 info.ciurma@proton.me che potrà fornire tutte le informazioni del caso e il modulo di contratto da personalizzare per il prestito.

Scansione temporale del progetto

1a fase: assemblea di CIURMA per la ricondivisione della situazione di Luca e presa in carico collettiva del progetto. Coinvolgimento dei GAS territoriali.

2a fase: raccolta contributi dei soci per iscrizione all’asta (18.000 euro; già raccolti).

3a fase: ribasso d’asta e partecipazione alla procedura di cessione.

4a fase: campagna di presentazione del progetto con tesseramento, raccolta fondi e coinvolgimento MAG6 e MagVerona (che ringraziamo per la disponibilità).

5a fase: aggiudicazione e versamento.

6a fase: restituzione prestiti con piano di rientro. Nell’ipotesi peggiore non dovessero intervenire altri progetti, l’azienda marciante restituisce interamente i prestiti fatti all’associazione, in rate mensili, senza interessi, in un arco temporale di dieci anni.

7a fase: riacquisizione della proprietà da parte della famiglia Pala e graduale rigenerazione della produttività dell’azienda.

L’azienda in estrema sintesi

Estensione di 72 ettari, in zona collinare nel Montefeltro, il 50% dei quali se minatavi e la restante parte boschi e tare.

1.600 mq di strutture, ricostruite nel 2013, adibite stalle e fienile.

400 mq di laboratorio, in parte adibiti a caseificio, in parte a celle frigorifere, tutti dotati di pareti e impianti a norma.

Al momento sono presenti 400 ovini, 28 bovini e qualche suino.

L’attività principale è la produzione, trasformazione e vendita diretta di latte e formaggi.

Personale: titolare, madre, fratello.

Debito, fallimento e dignità

Vogliamo dare atto della pazienza e perseveranza del Pastore e della sua famiglia, intenti ormai da più di dieci anni a mantenere la quotidianità necessaria alla propria sopravvivenza, a quella dei propri animali e a garantire la fornitura del prodotto sui mercati delle nostre reti. Ad ogni costo.

Una quotidianità che in questi lunghi anni è stata fortemente minata dal problema del debito.

Il debito è una condizione esistenziale comune alla gran parte delle persone che intraprendono un’attività agricola “a norma di legge”. A un susseguirsi di richieste di adeguamento, apparentemente finalizzate a restare “al passo con i tempi”, spesso osserviamo un graduale incremento dell’esposizione debitoria dell’agricoltore. Le operazioni legate ai Piani di Sviluppo Rurale, per loro natura strutturale, hanno spesso l’effetto di togliere il fiato alle realtà di piccole dimensioni e che non dispongono di grossi capitali di partenza. Per questo è giusto affezionarsi alla quotidianità del Pastore. Perché ci permette di fare sintesi rispetto a una condizione di autosfruttamento vissuta da tante altre realtà.

Il sistema del debito si dispiega con grande narcisismo e mette in mostra la violenza dei suoi apparati (banche, istituti di garanzia, curatori) rispetto ai quali anche l’amore universale e la capacità di astrazione dell’umanità vengono messi a dura prova. L’unica fortuna che ci rimane è quella di lasciare che i castelli di carta della burocrazia si esprimano al meglio inceppandosi su loro stessi e permettendo, grazie alle lungaggini e alle zone di approssimazione, che la vita continui ad andare avanti.

Eppure ai castelli di carta noi preferiamo quelli di rabbia, di una rabbia dolce e paziente che permette di riconoscere questo sistema come l’origine del problema e come un nemico comune.

Dietro le parole “insolvenza”, oppure “messa in liquidazione”, emerge la nozione culturale di fallimento, una parola chiave non accidentale che sostanzia quella narrazione fasulla che si infiltra socialmente e valuta le persone in funzione del loro successo economico. Il mito borghese del fallimento poggia le sue ali pesanti in questa società maschile consacrata alla prestazione e fornisce un importante contributo al perpetuarsi delle sue due anime inquiete. La prima anima è quella più smart, moderna, votata all’apparenza e alla forma esteriore, che punta a vendere continuamente nuove immagini di sé. L’altra si basa sulle azioni ed è forzatamente in movimento e competitiva per collezionismo dei prodotti, dei meriti e dei beni immobili. In entrambi i casi si confonde ancora il valore delle persone con la loro messa a valore negli ingranaggi del capitale.

Il contadino è stato decostruito per farne un imprenditore dell’innovazione, per poi disconoscerne la natura immortale e tentare di rigettarlo nel fango. È quello che succede ai mestieri che intralciano in qualche modo l’avanzata dell’industria. Tuttavia, fino a prova contraria, ancora il fango può tornare fertile e il Pastore ha saputo resistere con le armi della perseveranza. Ha fatto questo senza trasformarsi in una “icona green”, senza mettersi a fare “didattica in fattoria”, ma semplicemente facendo il suo lavoro di produttore di cibo con tutte le contraddizioni della propria epoca. Questo elemento, anche se poco mediatico, è di grande forza per le nostre reti che si interrogano su cosa significhi oggi “sovranità alimentare”.

Probabilmente sarà sempre più una condizione di lotta permanente ma pervasa di grande dignità. E la forza d’animo e la dignità di cui parla questa storia sono all’origine di ogni azione di sostegno e solidarietà che negli anni è stata intrapresa in favore del Pastore e della sua famiglia.

Perché in fin dei conti è sulle persone soltanto, e sul loro operato, che si fonda la fiducia sociale quella vera.

Dossier storico

Pensiamo sia di comune utilità ripercorrere per sommi capi la storia di questa azienda e fornire alcune indicazioni che possano provare a descriverla. Ovviamente per capire qualcosa delle vicissitudini economiche è necessario raccontare anche dell’avventura umana della famiglia. In ultimo, questo dossier fornisce alcune indicazioni per leggere, attraverso i numeri, le sorti della vicenda finanziaria legata a banche e banchieri, dipingendo un’idea del loro modus operandi. Speriamo che tutto ciò possa contribuire, almeno sottotraccia, alla denuncia di questo sistema criminale.

C’è ben poco merito nella virtù e ben poca colpa nell’errore (Fabrizio De André)

Il presidio rurale nasce nel 1969 con la famiglia dei nonni di Luca – composta da padre, madre, quattro fratelli e una sorella – che si sposta dalla Sardegna alle Marche.

Come tante altre famiglie arrivate in questo territorio, in pieno stile sardo, aprono un allevamento di pecore con annessa trasformazione in proprio ma poco dopo, nel 1972, muore il nonno di Luca e tre dei fratelli (il padre di Luca è il maggiore) rimangono con l’azienda da gestire.

Nel 1983 avviene la prima divisione in tre aziende – tre aziende per tre fratelli – che condividono gli stessi spazi, strutture, terreni.

Successivamente le attività tendono a ingrandirsi e si costruiscono altri spazi. Le storie, però, iniziano a separarsi, anche perché uno dei fratelli si specializza nella trasformazione e inizia ad acquistare dall’esterno il latte per aumentare le produzioni. Gli animali di questo fratello vengono acquisiti nei primi anni ’90 dal padre di Luca, che si occupa essenzialmente dell’allevamento e, di contro, conferisce il latte al fratello che si occupa ormai esclusivamente di chiudere la filiera e ha ingrandito ulteriormente il caseificio.

Il terzo fratello ha aperto un’attività commerciale di prodotti per la mungitura e il settore caseario; di fatto esce dalla nostra scena.

Nel 2000 Luca e suo padre acquistano tutta la parte dell’altro zio, che nel frattempo ha costruito un caseificio nuovo, dal carattere industriale, altrove.

A questo punto, in azienda rimangono soltanto i nostri pastori: Luca e suo padre. Il grande caseificio, ormai troppo grande, viene diviso a metà e riadattato in minor spazio; nella metà rimanente viene allestito il mattatoio. Si ricompone così, internamente, la parte della trasformazione e l’azienda assume la forma che vediamo oggi. Già dal ’94 aveva ottenuto la certificazione biologica che, solo a livello formale e burocratico, abbandonerà nel 2015.

Nel 2003 riparte la produzione dei formaggi e Luca acquista la titolarità dell’azienda. Il padre rimarrà operativo fino alla morte, nel 2017.

Grazie all’acquisto è possibile estinguere tutti i debiti precedenti, che era stato necessario contrarre durante la gestione del padre. Per Luca significa richiedere un primo mutuo ipotecario del valore di 775.000 euro presso BNL (2003) per rilevare l’attività.

A cavallo tra 2004 e 2005 Luca fa richiesta dei fondi del Piano di Sviluppo Rurale, con l’idea di rimodernare l’azienda. Comincia a spendere per realizzare le opere descritte nel Piano. Per anticipare le spese si indebita aprendo due mutui chirografari (mutui non garantiti da ipoteca o altre forme di garanzia) da 150.000 euro l’uno, con Banca Marche e Banca Popolare di Ancona; mutui che si sarebbero dovuti chiudere una volta arrivati i finanziamenti regionali.

Nel frattempo viene istituito un “premio di produzione” ai funzionari regionali per massimizzare l’utilizzo dei fondi PSR attraverso la rendicontazione precoce dei lavori per la chiusura, ancora prima dei termini previsti, delle operazioni di finanziamento. Per raggiungere l’obiettivo è necessario aver realizzato almeno il 50% della spesa preventivata. Parte la corsa a una rendicontazione fittizia a volte con collezionismo di fatture fasulle su lavori ancora da realizzare (con la tacita tolleranza dei controllori), corsa alla quale il nostro Pastore non si presterà. In quel momento, in azienda sono stati eseguiti più del 50% dei lavori previsti, ma emergono problemi di contabilizzazione perché le spese sostenute non corrispondono al conteggio fatto in base al prezziario regionale, i cui importi di riferimento erano enormemente gonfiati. Fatto sta che, sulla carta, non si riesce a raggiungere il 50% della spesa. Il contributo è revocato. Perso il treno.

I due mutui chirografari con Banca Marche e Banca Popolare di Ancona erano calcolati con tempi brevi e rate molto pesanti. Ora, per essere sostenibili, devono essere trasformati entrambi in mutui ipotecari. Questa procedura, seppur interna alle banche, richiede tempi lunghissimi durante i quali gli interessi lievitano, facendo quindi spendere grosse somme per ritardi la cui responsabilità è esclusivamente delle stesse banche. Di fatto, al momento della stipula i due finanziamenti speculari sono diventati da 300.000 euro l’uno e sono ora assistiti dalla garanzia al 50% di Confidicoop (un consorzio di garanzia che interviene per agevolare il credito nei settori produttivi).

Ad ogni modo, entrambi i mutui vengono pagati regolarmente fino al 2012, anno del “nevone”, la grande e memorabile nevicata che investì in particolare Emilia Romagna, Marche e regioni centrali. Per il nostro Pastore significa il crollo sotto il peso della neve di tutte le strutture aziendali e la conseguente morte di parte degli animali. La produzione si riduce drasticamente.

Nel 2013 inizia la ricostruzione delle strutture, contando sugli aiuti a fronte della calamità naturale. Al momento del collaudo della Regione (2016) le opere sono ultimate ma ci sono gli stessi problemi di rendicontazione: la spesa è di molto inferiore a quella prevista e non si raggiunge il 50%. Ci sono anche dei ritardi nel pagamento delle fatture ma la Regione chiude definitivamente il bando, senza ulteriore possibilità di proroga dei pagamenti. Non rientrando nei termini previsti la conseguenza è, ancora una volta, la revoca dell’intero contributo su cui il Pastore aveva contato. Intanto la produzione è ai minimi storici, tutte le risorse sono state spese per la ricostruzione, nessun aiuto è arrivato: le banche, per quel che le riguarda, proseguono con i primi decreti ingiuntivi e le azioni di recupero crediti.

A questo punto Luca, avendo comunque ricostruito le strutture e ripristinato il valore di garanzia dei mutui, anche se non stava più pagando le rate, propone un accordo alle banche: la formazione di una SRL condividendo la proprietà dell’azienda con quote 51% e 49%, per mantenere inalterato il valore dell’immobile e ricapitalizzarlo in cambio dell’esposizione debitoria ormai insostenibile (arrivata a 900.000 euro). Questo avrebbe limitato il danno e consentito all’azienda di tornare a produrre reddito. Ma la proposta non viene accettata e si preferisce svendere il debito al 18% del valore. Probabilmente la soluzione prospettata avrebbe permesso a tutti i creditori di rifarsi, cosa impossibile con l’attuale procedura di liquidazione che attraverso la vendita realizzerà ben poco rispetto al capitale di partenza.

Il rifiuto opposto dalla banca costringe il Pastore ad aderire alla legge 3/2012 – legge per la “composizione delle crisi da sovraindebitamento”, nota come “legge antisuicidio” – e mettere in liquidazione l’intero patrimonio (di valore ben superiore al debito) in cambio dell’esdebitazione.

L’asta si apre a febbraio 2020, base di partenza 1.840.000 euro. Mentre scriviamo siamo arrivati alla quindicesima chiamata. A 220.000 euro, tra base d’asta e spese accessorie. È ora di fare qualcosa.

C’è la forte intenzione di riacquistare l’azienda, per mezzo di un altro soggetto, e la volontà di mantenere vive le pratiche di produzione apprese nel tempo; prendersi cura degli animali, delle colture foraggere, del pascolo, fino al prodotto finito. Dall’interno del mondo del biologico in senso lato, ma soprattutto guardando più avanti, costantemente alla ricerca del miglior modo possibile. Di fatto l’attività del Pastore non si è mai fermata, nonostante l’esigua produzione e la cronica mancanza di fondi abbia reso spesso difficile e antieconomica questa scelta.

Già dal 2003, quando Luca acquista la titolarità dell’azienda e riprende a lavorare in proprio il prodotto finito, sono cominciati i contatti con i Gruppi di acquisto solidale del territorio. Si potrebbe dire che i Pala (con il contributo dei due fratelli di Luca) sono stati, e sono tuttora, un pezzo importante nella storia dell’economia solidale del nostro territorio. Il Pastore descrive questo aspetto come un vero e proprio scambio: da una parte la consegna dei formaggi, dall’altra una nuova consapevolezza riguardo alla possibilità di far nascere un’economia con regole differenti. In quegli anni si è cresciuti insieme.

Nel 2017 attraverso la frequentazione dei mercati della rete locale di Genuino Clandestino, il Pastore è entrato nel collettivo Oltremercato. Così si approda a un percorso politico puro, a fianco anche di giovani contadini con piccolissime produzioni. Grazie a questi incontri importanti si concretizza ora la possibilità di ripartire da zero, in un contesto protetto o quantomeno accogliente e completamente dal basso, senza dover rincorrere le pressioni del mercato.

Più che resilienza o resistenza si può parlare di riesistenza.

Radici

Gradualmente ci stavano trasformando da detentori di capacità e saperi nel nostro settore a meri concessionari di autorizzazioni a produrre, vincolati e vincolabili a qualsiasi norma o interpretazione della stessa.

Quel sapere e saper fare appreso faticosamente nel tempo, che è alla base di ogni tentativo di liberazione e che nei fatti aveva permesso ai miei avi di liberarsi dal sistema della mezzadria, veniva svalutato fino a renderlo inutile.

Tutto era determinato o imposto dall’esterno, ma totalmente sottoposto alla capacità economica propria o alla possibilità di accedere a finanziamenti… “ben motivati” dalla necessità della sicurezza alimentare, con costi eccessivi e spesso inutili da sostenere.

L’ultima istruttoria e l’ultima parola sulla possibilità di produrre adeguandosi alle normative, di mantenere la possibilità per tutti di nutrirsi in loco dal loco, di accedere a denaro pubblico destinato a questo scopo… erano in mano al sistema corrotto, drogato e malgestito della finanza e delle banche, senza nessuna possibilità per i cittadini e le loro istituzioni di controllare questi processi. Questo avviene in tutti i settori, da quello produttivo a quello delle professioni, dalle rappresentanze all’informazione, ed è proprio perché tutti lo sperimentiamo ogni giorno nel nostro operare e nel nostro vivere quotidiano che dovremmo prenderne consapevolezza e agire di conseguenza.

All’origine di questa storia vi sono persone costrette a rendere la metà del prodotto del proprio lavoro a un padrone che all’epoca dovevano anche chiamare Signore. Quando il padre del Pastore, di idee libertarie, ha comunicato al nonno che di Signori lui non ne voleva più sentire parlare e ha annunciato che sarebbe partito dall’Isola a ogni costo, non è stato soltanto qualche parente a seguirlo. Si è mosso un intero sistema di supporto e condivisione, essenzialmente matriarcale, che ha portato all’esodo iniziale di almeno due famiglie allargate, pecore comprese. Vi sono testi importanti che raccontano anche i numeri di questa migrazione di massa di sardi nel Lazio e Toscana prima, Marche e Romagna a seguire.

Le ragioni economiche che hanno causato il grande esodo e delineato questo pezzo di storia possono essere ricercate già nel primo dopoguerra, con il ritorno a casa degli uomini sopravvissuti. Alla partenza avevano venduto trecento pecore perché nessuno avrebbe potuto occuparsene. Le donne avevano serbato il capitale ma al loro ritorno, con quelle somme, se ne potevano acquistare soltanto tre.

Queste vicende, la fatica della partenza e tutto il portato culturale, sono di fatto ancora oggi un tempo presente e vivo perché esiste una cultura fortissima – che poggia essenzialmente sulla trasmissione orale – di aneddoti e usanze. La forza tangibile di questi racconti ha generato in continente una fotografia della Sardegna scattata nei primi anni Settanta, che la verità ancora vissuta non permette di sbiadire. Gli alfabeti hanno qualcosa di antico, la lingua stessa che si parla in famiglia non è la stessa che nel frattempo si è evoluta nella Sardegna odierna. Allo stesso tempo però, in perfetta continuità con la tradizione orale ma questa volta utilizzando l’italiano, si insegnano tecniche di allevamento ai compaesani insieme alla filosofia e all’antropologia… perché il pensiero e le parole durante il lavoro sedimentano meglio.

Chi si è ribellato ai Signori del passato ha la scorza dura, grazie anche a una preziosa alterità che preserva i sogni e l’identità. Ma ha trovato in quest’epoca ben più raffinate catene di sfruttamento in cui è sempre più importante distinguere i ruoli e di cui tutta la nostra società è vittima e responsabile.

Cenni di ordinaria ingiustizia

Rispetto alle responsabilità più o meno consapevoli di alcuni attori occulti di questa storia, andiamo a estrapolare dalla complessità della vicenda alcune curiosità degne di nota; cercando un equilibrio, senza essere esaustivi, tra tecnicismo e denuncia.

Si è già parlato del fatto che per ben due volte un contributo regionale viene millantato, sovrastimato e poi revocato per semplici problemi di rendicontazione e scadenze. Come se non bastasse, però, ci sono una serie di questioni che hanno contribuito allo sbarellare del contatore della slot-machine. Vediamole.

* Nel 2008, con la legge Tremonti, la rata del mutuo ipotecario per l’acquisto dell’azienda diventa fissa. Questo comporta oscillazioni degli interessi per via del tasso variabile. Gli interessi in difetto vengono addebitati sullo stesso conto, mentre gli interessi in eccesso vengono accreditati su un conto accessorio creato appositamente. Successivamente in questo conto vengono addebitate alcune rate non pagate generando un debito ulteriore che assorbe il credito e comincia a generare interessi dagli interessi stessi. Così originate, le cifre in negativo di questo conto accessorio arrivano a superare i 250.000 euro. Tuttavia nel primo decreto ingiuntivo di BNL, nel conteggio della situazione debitoria dell’azienda, questo conto non compare; quasi a confermare l’irregolarità di questa pratica da usurai.

  • La citata trasformazione dei due mutui chirografari in mutui ipotecari richiede circa un anno e mezzo (con conseguente pressione di rate elevate e relativi interessi). Parte della faccenda riguarda il problema dell’ipoteca: il valore dell’azienda copriva ampiamente il valore dei due mutui e sarebbe stato la loro naturale garanzia. Tuttavia, la Regione costringe il Pastore ad accedere a garanzia ulteriore. Regione Marche in quegli anni finanzia Confidicoop, appositamente perché fornisca garanzie al credito relativamente al Piano di Sviluppo Rurale. Attivare la necessaria fideiussione presso Confidicoop costa “soltanto” 11.000 euro e un fisso annuale che fa lievitare il TAEG. Da notare che a fronte dei numerosi decreti ingiuntivi (fino a sette), con relativi pignoramenti e azioni legali a danno del Pastore, nessuno degli enti creditori ha intaccato il fondo di garanzia di Confidicoop… La sorte cambia completamente con il fallimento di Banca Marche, quando la Bad Bank che si occupa da attore esterno (anche se gestita dalle stesse persone) di recuperare la parte debitoria della banca, escute immediatamente tutto il possibile da Confidicoop.
  • I confidi sono solo uno degli accordi sui generis tra banche e Regione attivati dalla macchina del PSR. Vi sono anche convenzioni speciali per i mutui. Vengono addirittura emesse dalle banche appositi strumenti e prodotti finanziari che in seguito lasceranno con un pugno di sabbia gli agricoltori. In fase di rendicontazione, pur di avanzare con i progetti (che, come abbiamo visto, avevano tempi piuttosto serrati), i costruttori stessi anticipavano soldi alle aziende per pagare parte del proprio lavoro: la cosa avveniva tramite l’acquisto, da parte dei costruttori, di titoli o azioni intestati all’azienda, con ulteriori benefici per le banche. Permettevano così all’azienda agricola di effettuare regolarmente i bonifici, distribuendo però tra costruttori e banche il plusvalore generato dal gonfiarsi enormemente dei prezzi del prezziario regionale (fino al 50% in più).

Soltanto in seguito, navigando nel bollettino ufficiale on-line della Regione, ho notato che la maggior parte dei contributi erogati erano uguali ai contributi richiesti, il che significa che quasi tutti avevano speso tanto quanto preventivato; ma i preventivi erano presentati secondo lo stesso prezzario delle opere pubbliche. O avevo ottenuto un ottimo sconto dalle ditte o avevo capito perché le opere pubbliche in Italia costano il doppio che nel resto d’Europa.

Vi è un’ulteriore nota dolente in questo racconto, che non riguarda soltanto gli istituti della finanza come grandi generatori di ingiustizie, ma evidenzia dei responsabili diretti il cui operato avrebbe potuto fare la differenza: funzionari regionali, banchieri ma anche bancari delle filiali locali, che nel loro piccolo hanno disgregato il tessuto economico di realtà produttive con importanti ricadute per tutto il territorio. L’autogol di Banca Marche e il suo fallimento sono probabilmente parte integrante di questa storia. Una responsabilità anche individuale quindi, che non ha saputo porsi con un minimo di etica, né di correttezza professionale, davanti a quello che stava accadendo.

In questa vicenda non ho incontrato poteri forti, re o tiranni, ma piuttosto piccoli feudatari, ognuno intento ad amministrare ciecamente un piccolo potere, scaricando qualsiasi responsabilità. Tutta questa vicenda avrebbe avuto un esito ben diverso se le persone coinvolte avessero fatto scelte diverse, assumendosi ogni volta rischi e responsabilità. Se la scelta che fai non ti costa nulla o non ti fa correre rischi, significa che sta pagando o rischiando qualcun’altro. L’autodeterminazione e la capacità di vivere in società giuste, pacifiche e solidali passano per la responsabilità della scelta.

Dalla stessa parte

Si potrebbe dire che, dopotutto, questa storia è una normale vicissitudine che riguarda il mondo dell’impresa, abitato da rischi importanti ma anche da grandi benefici economici quando gli attori sanno distinguersi con l’intraprendenza necessaria. Già questo basterebbe per inserire una nota di simpatia verso chi quell’arroganza (notare l’assonanza con intraprendenza) non è in grado di esercitarla.

Questa simpatia è altresì illuminante quando serve a riconoscere che gran parte delle strade che possiamo intraprendere non sono dettate dal libero arbitrio, ma da una storia funzionale e parzialmente già scritta dalla classe che domina il momento storico. Così quella simpatia verso le vicende personali si trasforma rapidamente in un senso di “appartenenza” che suona come “stessa parte” della storia.

Chi scrive certamente non ha a cuore il futuro dell’imprenditoria nazionale. Piuttosto preferiamo immaginare collettivamente la salvezza umana e materiale di storie come questa.

In questi ultimi anni la rete mutualistica composta dai GAS provinciali, dai mercati contadini e dalle associazioni è stata presente ed è potuta crescere grazie anche ai momenti di necessità. A volte si è mossa come una famiglia allargata, a volte con caotica generosità. Senza disturbare l’indipendenza di chi vive sulla terra, ha saputo imparare, sostenere, credere, aspettare e riconoscere in quello che c’è un valore per tutte e tutti. Già da alcuni mesi, grazie a un’operazione guidata dal GAS di Fano, è stata messa in sicurezza l’abitazione della famiglia Pala con una raccolta fondi condivisa. CIURMA in tutto questo è soltanto il progetto più giovane ma testimonia il desiderio di mettere a disposizione sempre più strumenti utili alle reti, per aiutare le iniziative di comunità del nostro territorio.

Coltiviamo la sperimentazione dentro le economie solidaristiche, che la scala locale riesce a nascondere a malapena dall’occhio delle tecnocrazie, nella speranza di resistere all’ingordigia del Nulla che avanza.

Potrebbero interessarti anche...